Per insegnare in maniera efficace la Matematica, bisogna interrogarsi su come è fatto e funziona questo sapere. Più che la presentazione di risultati ordinati e brillanti è importante mostrare tutto il lavoro di ricerca e scoperta che sta dietro ad ogni enunciato.
C’è un problema generale che accomuna chi si occupa di Storia della Matematica e che si (pre) occupa dell’insegnamento della Matematica: come si fa a trasmettere, da una generazione all’altra, un sapere che non è riducibile a un insieme di contenuti, a una lista di scoperte, di enunciati o di formule. Un sapere, soprattutto, il cui valore formativo (e questo riguarda gli insegnanti in primo luogo) non risiede solo nelle conoscenze in sé, quanto piuttosto nel lavoro fatto per conquistare queste conoscenze. Un lavoro che alla fine porta i ragazzi ad acquisire un formidabile strumento di conoscenza. Sappiamo tutti, infatti, per esperienza personale di allievi prima e di insegnanti poi, che non basta enunciare un teorema o una definizione, illustrarli brillantemente, con dovizia di esempi e motivazioni, esperienza didattica e preparazione metodologica, perché i ragazzi li comprendano e li apprendano. Tutto questo è utile e importante, ma ben lungi dall’essere sufficiente (e forse non è neppure sempre necessario, come vedremo poi). Un buon insegnamento della Matematica non basta: è un fatto ovvio e universale, ma spesso dimenticato. Per capire perché, è indispensabile guardare alla Matematica, al suo statuto e alle sue caratteristiche. Occorre capire che cos’è e come funziona questo sapere che vogliamo trasmettere (o far scoprire, o costruire, o far re-inventare: ognuno può scegliere il termine che meglio si adatta alle sue convinzioni pedagogiche).
LA COSTRUZIONE DELLA CONOSCENZA
UNA DIDATTICA ATTIVA
-esplicitare in una situazione le cose sottintese o evidenti;
- decomporre le difficoltà di un problema in passi semplici, ricomporre risultati parziali;
- concatenare le affermazioni, elencare e classificare i casi possibili;
- dare e utilizzare definizioni, verificare le proprie ipotesi e congetture;
- produrre controesempi, generalizzare i risultati;
- comprendere gli elementi di un problema che servono per la soluzione;
- trasferire una osservazione o un risultato da un contesto ad un altro;
- utilizzare i fatti conosciuti per giustificare le proprie affermazioni…
Queste procedure diventano poi, con l’affinarsi del linguaggio, le operazioni tipiche della Matematica: definizione, astrazione, classificazione, simbolizzazione… Tutto questo non si insegna in teoria: si può solo stimolare, far provare, incoraggiare guidando i ragazzi, per l’appunto, nel loro processo di reinvenzione. I modi per attivare questi meccanismi sono tanti, e la didattica sul campo ci fornisce indicazioni preziose. In questa prospettiva, il lavoro individuale, il lavoro a piccoli gruppi, il lavoro in grande gruppo, diventano altrettante possibilità sulla tavolozza dell’insegnante. I giochi matematici, i laboratori, le osservazioni scientifiche, le curiosità dei bambini sono tutte opportunità per il lavoro matematico.
COME SI APPRENDE
Le conoscenze e le abilità, quando sono acquisite con l’attività personale, si dimenticano meno facilmente e vengono utilizzate con maggiore facilità e prontezza rispetto a quelle che sono state imposte dagli altri. In secondo luogo, la scoperta può dare soddisfazione, e quindi l’imparare con la reinvenzione può essere fondato sulle motivazioni personali. In terzo luogo questo atteggiamento incoraggia l’attività di esperimentare la Matematica come un’attività umana. Guidare la reinvenzione significa trovare un delicato equilibrio tra libertà dell’inventare e la forza del guidare, tra il permettere al discente di divertirsi e il chiedergli di compiacere il docente. Inoltre la libertà di scelta del discente è sempre limitata dal ‘re’ di reinvenzione. Il discente deve inventare qualcosa che per lui è nuovo, ma che è ben conosciuto da chi guida. (Hans Freudenthal, da Ripensando l’educazione matematica, ed. La Scuola, 1994)
La vita scolastica, Giorgio Bolondi, Università di Bologna, 16/10/07